Dicono che quasi mai i desideri abbiano occhi innocenti, ma col tempo, assieme a tutto il resto, ciascuno impara a proprie spese che non tutte le innocenze sono sempre benigne.
C’è un tram che si assegna la fatica di portare in giro i desideri di Lisbona.
Tesse l’infaticabile spola da Martin Monitz a Campo de Ourique nei pressi del Castello di Sao Jorge, l’electrico 28.
La diceria di un fabulatore vuole che, in certe giornate di vento su un sedile dell’electrico, prenda posto una donna tutta vestita di bianco. La sua eleganza non passa inosservata, ma per l’intera ascesa verso il Barrio Alto, rimane distante, immersa nei suoi pensieri. L’unico gesto che regala alla curiosità di chi osserva pare consista in un gioco estenuante delle belle dita con la caricatura argentata di un anello di carta stagnola.
Perciò, se decidete di prendere il 28, sappiate che potreste prestarvi all’azzardo di accordare al vostro desiderio forme definitive. Le salite si susseguono alle salite lungo strade così oblique e strette da costringere spesso i pedoni a cedere il passo al tram.
Facciate di fascino moresco si alternano ad angoli di perduto abbandono alla cui fine, quale che sia il vostro desiderio, c’è in premio il più straniante dei cieli azzurro cobalto, fermo nell’atto di restituire il soffio del Tago che incontra l’immensità dell’oceano.
Chi si trovasse a carezzare l’idea di Lisbona, adagiata su sette colline, sappia pure che commetterebbe un imperdonabile errore se non decidesse di affidarsi al caso ed allo scarto curioso dei propri passi.
In fondo possono bastare una buona cartina e nomi di quartieri come Alfama, Baixa, Chado, e Belem, per guidare passi e sguardo di chi ha scelto, non per ripiego, l’appuntamento con l’arte “manuelina” e le fantasmagorie policrome degli azulejos.
Se il vostro vagabondare vi portasse nei pressi di Praca do “Rossio” cercate pure le rovine gotiche della Igreia do Carmo e coglierete come anche l’impronta distruttiva del terrificante terremoto del 1755 possa essere stata felicemente trasfigurata in cura del tempo.
Prima dell’euro, sui vecchi biglietti da cento escudos c’era Fernando Pessoa, l’autore del “Libro dell’inquietudine”. Cercatelo in via de Douradores e se non lo trovate, provate al tavolino del suo bar preferito. Forse è la che, al riparo di un eteronimo, appunta su di un quadernetto dalla copertina nera.
Se i vostri passi vi avessero condotto al Chiado, quartiere prediletto da giovani e artisti, quando tutte le ombre diventano corte nel sole di mezzogiorno, potreste cercare conforto nelle forme liberty del Brasileira, il più antico caffè della capitale.
Ma se fossero la luce e gli esordi coloniali del Portogallo ciò che cercate, puntate verso il quartiere di Belem, dove l’acqua del fiume Tago è prossima all’Atlantico ed il gioco dei riflessi può risultare abbagliante. Là s’innalza la famosa Torre di Belèm e se proprio dovete fotografare, serbate qualche scatto per le atmosfere rarefatte del Monastero Dos Jeronimos.
La zona moderna di Lisbona reca in bella mostra i segni del suo più famoso architetto. Agli entusiasti di Calatrava, anche solo questo, potrebbe risultare sufficiente a giustificare il proprio viaggio. Mentre tutti gli amanti degli abissi non potranno ignorare che lì ha preso corpo il più grande Oceanario d’Europa con i suoi 150.000 esemplari marini di 450 specie diverse.
Ma la vera ricchezza di questa capitale, che ha convissuto con una delle più longeve dittature del novecento e che solo nel ‘75 si è affacciata alla democrazia con la rivoluzione dei garofani, è la sua gente.
Lasciatevi contagiare dalla vitalità che i lusitani mostrano all’imbrunire. Mangiate con loro nelle innumerevoli trattorie popolari disseminate in città, tralasciando le offerte patinate, ma soprattutto, fermatevi con loro a degustare qualche assaggio di Fado. L’unica musica, definita dall’Unesco: “bene immateriale dell’umanità”.
In tempi in cui l’Europa delle genti pare destinata a soccombere per mano di quella della Finanza, potrebbe accadere che qualcuno si dichiari stanco del logoro mito greco del rapimento di una fanciulla di nome Europa. Se così fosse, quel qualcuno è proprio a Lisbona che deve recarsi per darsi ragione definitiva che il nome femminile del Vecchio Continente, non traduce null’altro che: “terra del tramonto.”
Perciò, a fine giornata, quando la fatica di tanto andare inizierà a farsi sentire nelle gambe e nella testa, sarà bene cercare uno dei numerosi elevador e recarsi all’imperdibile belvedere del Miradouro de Santa Luzia.
Solo allora, si potrà posare uno sguardo innocente sull’ocra che occhieggia, prevalendo, tra i colori pastello delle antiche case che plasmano il cuore di Lisbona e contemplarle, mentre si accendono di vita propria in faccia al mare, nella luce del tramonto.
In quel momento, che cade quando da noi è già sera inoltrata, forse, per gioco, potrebbe venire in mente l’omaggio ai lusitani di un cantautore genovese, e sorprendersi a sussurrare con lui : “… chi vede sempre, da sempre ultimo, la sera; e se ha guardato non è neanche stanco di guardare”.
Desiderio di Lisbona


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