Costa De La Luz, un idea per gli occhi oltre le Colonne d’Ercole

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Qualcuno ha scritto che “la luce è stata l’ossessione dell’occidente e la sua speranza di salvezza”.  Ossessione o speranza che sia, la luce  da sola  è ciò che motiva gli occhi. E gli occhi, per il viaggiatore di ogni epoca  sono stati e sono, quasi sempre, tutto ciò che finisce per giustificare un viaggio.

Per trovare “Costa De La Luz” occorre scorrere una cartina della Spagna. Dimenticate Barcellona e Madrid. Dimenticate la prima idea di Spagna che vi si affacci in testa. Dimenticate, per favore,  i suoi litorali  cementificati lungo la linea del Mediterraneo.
Lasciate che il dito scenda, ammesso che abbiate ancora dimestichezza con una cartina di carta, verso il sud. Lasciate che scenda fino al punto  dove si misura la minima distanza tra Europa e Africa. Il tempo di stupire per l’inezia della distanza fisica tra i due continenti, prendere Gibilterra come punto di riferimento e riservare un’idea commossa alle “Colonne D’Ercole”.
Non trattenete il dito, lasciatelo risalire con studiata lentezza, come carezzando il profilo di un volto amato, verso ovest, lungo l’ultima linea continentale che si affaccia sull’Atlantico, e raggiunta Tarifa annunciate ai vostri occhi che  per 300 chilometri, fino al confine con l’Algarve portoghese, la “Costa della luce” li aspetta, intatta e fascinosa.

Un lembo estremo di Andalusia, quello da cui il genovese Colombo ed il fiorentino Vespucci presero la rincorsa verso il nuovo mondo. Terra di azzurri strazianti e di spiagge bianche  non ancora morse da bitume e vetrocemento.

Paesini di pescatori e poche piccole deliziose città. Spazi di storia custoditi da pinete e ulivi lungo i fianchi di una Sierra Montuosa che segna il discrimine climatico tra l’ insopportabile afa estiva della sublime Siviglia e la “salata limpidezza” di Cadice, per dirla con Antonio Machado.
Il vento dell’Atlantico, se saprete restare in ascolto, si incaricherà di non mortificare gli altri sensi e attenuerà, nel regno della luce, la dittatura degli occhi.
Se saprete restare in ascolto, lungo una spiaggia di cui non s’intuisce fine, tra i vicoli sonnolenti di un paesino “blanco” o lungo i bastioni di un porto che cinge un centro storico che pare anticipo spagnolo dell’Havana cubana,  sentirete odori fenici, toccherete sopravvivenze romane ed assaporerete essenze arabe.

Se siete surfisti provetti, queste poche e volutamente lacunose note non aggiungeranno nulla a quanto già non abbiate scoperto di questa ultima striscia di terra  hispanica.
Se invece non lo siete e se nemmeno vi affascina il surf, c’è da auspicare che la “Costa De La Luz”  prima ancora di essere una possibile meta possa raffigurare la riappacificazione con una certa  idea di viaggio che non contempli nessuna delle affollate ritualità di tante, troppe, estati passate.

Il nostro intento non è mettere a disposizione dei  lettori una idea precotta di itinerario. Più audacemente o forse più imprudentemente, si intende  provare ad accendere una suggestione che sia in grado , nel cuore ostile di questo inverno, di dare vita alla scintilla del piacere della auto pianificazione, possibilmente economica, di un viaggio che è  anticipo d’estate e idea guida per attraversare, senza troppi danni, un tempo di crisi.
Avremmo potuto parlare del tonno rosso e dei mitili, dei parchi nazionali che punteggiano la costa come quello di “Do’ana”, della Sierra dei “Pueblos Blancos” dei Vini e delle mattonelle gialle della cupola della cattedrale di Cadice che risplendono come oro al tramonto e di molto altro, ma sarebbe stato come offendere la vostra curiosità.

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